Terapia Familiare Strutturale: usare il paradosso in modo terapeutico
La terapia familiare strutturale elaborata da Salvador Minuchin ritengo che sia la più in linea con le teorie sistemiche costruttiviste, che dal lato opposto degli Stati Uniti hanno ispirato la nascita della terapia breve strategica del Mental Research Istitute.
Il problema non è del paziente ma del sistema in cui è inserito, il sistema oggetto di terapia in questo caso consiste nella famiglia.
Ritengo che in alcune condizioni problematiche, come per esempio i problemi che emergono nell’infanzia o nell’adolescenza, e per specifici problemi come quelli psicosomatici o dell’alimentazione, un intervento che non coinvolge solo il portatore dei sintomi ma che si allarghi all’intero sistema familiare, possa portare importanti vantaggi per incrementare l’efficacia e l’efficienza della terapia.
Secondo questo modello di terapia familiare intervenire sul sistema familiare vuol dire modificarne la struttura, ovvero le regole che governano i rapporti reciproci dei membri al suo interno. I sintomi infatti sono degli epifenomeni effetto di tali dinamiche non più funzionali.
Per fare un esempio: il figlio ha sempre permesso ai genitori di non affrontare i loro problemi di coppia, catalizzando l’attenzione su di lui; con la crescita questo sente il bisogno di separarsi, di essere più autonomo, ma contemporaneamente percepisce un implicito contrasto di tale naturale processo da parte dei genitori. Il risultato e la soluzione di questa situazione insostenibile può essere un disturbo psicotico, o alimentare, per mantenere il solito equilibrio famigliare senza cambiarlo.
L’intervento terapeutico consiste nel mettere in discussione che il problema sia del portatore del sintomo (visione sostenuta e a volte difesa dalla famiglia), attraverso una ridefinizione sistemica, che crea una crisi percettiva all’interno della famiglia. Questo cambiamento di prospettiva deve generare dei cambiamenti nei reciproci modi di relazionarsi e dei cambiamenti nei valori e nelle credenze della famiglia, che sostengono e alimentano i comportamenti disfunzionali.
Per ottenere questo risultato ci sono tecniche dirette e tecniche indirette.
Le tecniche dirette consistono nel rendere consapevoli i membri della famiglia delle dinamiche disfunzionali attraverso l’esperienza della seduta, il terapeuta si focalizza su una dinamica disfunzionale che emerge in seduta (che ritiene cruciale rispetto al mantenimento del problema portato) e attraverso la sua partecipazione attiva al dialogo introduce delle variabili che modificano tale interazione disfunzionale abituale.
Per esempio se il problema riguarda un figlio piccolo che non riesce a seguire regole comportamentali di base, il terapeuta può notare dagli scambi in seduta questa dinamica disfunzionale: la madre prova a controllare il figlio, questa non ci riesce, interviene il padre e il figlio si calma. La transazione disfunzionale si ripete con la stessa sequenza e determina un figlio disubbidiente, una madre incapace, un padre autoritario. Il terapeuta può intervenire chiedendo alla mamma di controllare il figlio (es. farlo stare sul tappeto a giocare, senza disturbare la seduta) e contemporaneamente può impedire che il marito intervenga in suo aiuto. Se la madre riesce nel suo obbiettivo questa esperienza modifica la percezione negativa che a di se (e la credenza familiare che le attribuisce il ruolo di “debole”) e soprattutto questa nuova dinamica potrà essere ripetuta fuori dalla seduta.
Gli elementi cardine di questo modo di intervenire sono il far emergere concretamente in seduta la dinamica relazionale disfunzionale, focalizzarsi su di essa, modificare concretamente la dinamica in seduta attraverso la partecipazione attiva del terapeuta, in modo da far scoprire alla famiglia comportamenti alternativi a quelli abituali, e infine ridefinire ciò che è avvenuto e estenderlo come nuova regola interattiva fuori dal contesto terapeutico.
Questa modalità di intervento per quanto sia intensa emotivamente, in quanto non si spiega il problema ma se ne fa un’esperienza diretta in seduta al fine di scoprire e sperimentare soluzioni alternative, non sempre è efficace, in alcuni casi le dinamiche relazionali disfunzionali sono così radicate che il sistema resiste e non viene scalfito dall’intervento diretto.
In questi casi può essere utilizzato un intervento indiretto che si fonda sul paradosso: la dinamica disfunzionale viene prima spiegata (messa alla luce del sole), poi prescritta alla famiglia e infine sostenuta nel corso della terapia dal terapeuta.
Per esempio, in una famiglia la dinamica disfunzionale può essere questa: la madre si concentra sui problemi scolastici del figlio, questo si ribella e litigano di continuo, il padre ha problemi più grandi del figlio sul piano lavorativo, ma si isola dalla diade madre-figlio assumendo una posizione depressiva tollerata dagli altri due. Il terapeuta può comunicare apertamente che è fondamentale che la madre si concentri sui problemi del figlio e che questo continui a non andare troppo bene a scuola, perché così difendono il padre, se dovessero al contrario affrontare i problemi lavorativi di questo, lui non reggerebbe e la depressione lo travolgerebbe completamente. Un possibile effetto è che la madre non accetti di danneggiare il figlio per difendere il marito (un adulto) e che inizi ad affrontare i problemi che ha con lui: il conflitto è riportato sulla coppia e il figlio è tolto dalla posizione di intermediario.
Dal mio punto di vista l’aspetto importante di questo intervento è che il paradosso viene usato in un’ottica sistemica: il terapeuta è consapevole della dinamica disfunzionale e la prescrive paradossalmente per incrinarla.
Troppo spesso invece le tecniche paradossali vengono utilizzate senza una consapevolezza sistemica, in modo “comportamentista”. Per esempio nel caso di prima ci si sarebbe potuti limitare a prescrivere a madre e figlio di litigare (per esempio creando un rituale quotidiano) senza svelare la funzione protettiva dei litigi verso il padre (elemento sistemico). Ritengo che la perdita dell’elemento sistemico nella prescrizione paradossale del sintomo ne riduca di molto l’efficacia terapeutica.
Il prescrivere paradossalmente il problema seguendo una logica sistemica non lo ritroviamo solo in Minuchin, ma anche in altri importanti fautori della terapia breve sistemica-costruttivista come Maria Selvini Palazzoli. Infine è impossibile non menzionare Milton Erickson le cui prescrizioni terapeutiche sono assurde solo all’apparenza, ma poi quando vengono spiegate dallo stesso rivelano una profonda saggezza sistemica.