Blu Whale: La Spirale Auto-persuasiva delle Azioni
In questo articolo cerco di esporre quelle che possono essere le dinamiche psicologiche coinvolte nel tragico gioco virtuale “Blu Whale”. In sintesi cercherò di rispondere alla più straziante delle domande: ”ma come è possibile che per un semplice gioco, ragazzi, che conducevano una vita regolare, sono arrivati al suicidio?
Blu Whale è un gioco online a cui si decide di partecipare volontariamente postando un messaggio. Una volta contattati si viene sottoposti a un elenco di 50 prove. Il rito prevede umiliazioni, ricatti e minacce e si chiude con il suicidio della vittima. Tra le prime indicazioni agli affiliati c’è quella di non parlare con i genitori di quello che si fa, svegliarsi in piena notte, vedere film horror, infliggersi tagli e ferite fino ad arrivare a gesti estremi (Il Sole 24ore, 29 maggio 2017). Blue Whale è nato su VKontakte (Vk), un social network tipo Facebook molto popolare in Russia. Sarebbe infatti proprio russa, Rina Palenkova (16 anni), quella che viene considerata essere la prima vittima. Si è poi sviluppato in altri Paesi, e visto il clamore mediatico, potrebbe essere arrivato anche qui in Italia.
Come mai è sufficiente un macabro gioco per spingere dei giovani (che probabilmente conducono una vita normale) a suicidarsi?
La spiegazione psicologica fondamentale, dal mio punto di vista, fa riferimento ad un processo mentale ben conosciuto: il mettere in atto azioni che sono anche lontane da quello che sentiamo hanno un effetto auto-persuasivo e ci cambiano fino a spingerci a compiere atti terribili.
In un noto esperimento condotto da Zimbardo presso la Stanford University nel 1971, 24 uomini selezionati per il loro equilibrio e maturità furono assegnati casualmente a due gruppi: carcerati e guardie. Il ricercatore fu costretto a interrompere l’esperimento al quinto giorno in quanto i carcerati mostravano sintomi evidenti di disgregazione individuale e collettiva, mentre le guardie si comportavano in modo vessatorio e sadico.
Chi era stato assegnato al ruolo di “guardia” e iniziava gradualmente a comportarsi come tale, arrivava alla violenza verso i “carcerati”, anche se precedentemente era una persona mite. Il recitare un ruolo fittizio induce la persona ad identificarsi con quel ruolo e a dimenticarsi che si tratta di una finzione o un gioco.
Il processo è isomorfo a quello del Blu Whale: ai ragazzi vengono richieste prove concrete gradualmente sempre più pesanti, come una reazione a catena che si intensifica, si calano sempre di più nell’idea autodistruttiva che viene proposta dal gioco, finchè non riescono più a levarsi quella maschera, che è proprio così forte perché si costruisce su esperienze reali.
Da un piccolo comportamento autolesionistico si passa ad uno più grande fino ad arrivare a quello estremo, il potere suggestivo del comportarsi “come se” la vita fosse un inferno conduce ad una specie di “lavaggio del cervello” e ai conseguenti comportamenti automatici.
Mi preme sottolineare che questo processo psicologico può innescarsi più facilmente in un periodo delicato come l’adolescenza, ma non necessariamente è sintomo di difficoltà psicologiche preesistenti all’inizio del gioco.
La soluzione per non farsi catturare da questa spirale perversa è quella di interrompere quanto prima i comportamenti che vengono richiesti dal gioco, e a tal riguardo, oltre all’individuo coinvolto, hanno un ruolo fondamentale i genitori e le autorità competenti nel bloccarne la diffusione.
L’illusione individuale più pericolosa è quella di credere di poter smettere a piacimento e di avere il controllo della situazione, proprio questo induce ad andare avanti, finchè si struttura la percezione soggettiva che dopo tutto quello che è stato fatto è impossibile tornare indietro.
Non per nulla l’ultima prova consiste nel gettarsi da un grattacielo: a quel punto sporgersi e dire di no può essere molto difficile.