IL CONCETTO DI SALUTE PSICOLOGICA

Che cosa si intende per salute psicologica?

Per chi opera come me nel campo della psicoterapia e della consulenza psicologica questa è una domanda fondamentale alla quale rispondere, in quanto delimita i confini e gli obbiettivi dell’intervento.

Oltre che per il libero professionista tale quesito è di importanza cruciale anche per i possibili pazienti, in quanto spesso non sanno che cosa aspettarsi da un intervento psicologico.

Se l’obbiettivo della psicoterapia è quello di ridurre o togliere la sofferenza soggettiva, dal lato opposto la salute mentale non corrisponde all’assenza di malessere ma alla capacità personale di saperlo gestire e di ridurre l’impatto negativo che questo ha sulla vita.

La completa conoscenza di se stessi, uno stato di benessere continuo, la serenità per non dire la felicità dal mio punto di vista sono mete utopiche e per questo fuorvianti. Infatti l’esistenza umana è costituite da momenti positivi e momenti negativi, è un continuo divenire, un moto perpetuo, ed il cambiamento è la sua costante.

L’intervento psicoterapeutico è necessario quando una condizione di sofferenza non passa ed il malessere si prolunga nel tempo o ha un’intensità tale da bloccare la persona. In questi casi l’obbiettivo è sbloccare l’empasse e contemporaneamente favorire lo sviluppo delle risorse personali.

La crescita prodotta dalla psicoterapia è costituita dallo sviluppo di una maggiore resistenza personale che permette di “reggere” gli urti della vita: la capacità di gestire i momenti di malessere che si possono presentare.

In ultima analisi si può dire di essere in salute psicologica quando siamo in grado di sopportare e gestire i momenti avversi, e ciò non vuol dire non provare stati d’animo negativi.

Tenere a mente questo concetto permette di non patologizzare situazioni fisiologiche, processo che porta ad intervenire là dove non è necessario.

Per fare qualche esempio che si ritrova spesso in ambito clinico pensiamo a chi ha appena perso una persona cara, è chiaro che il dolore è reattivo e pienamente giustificato dall’evento, l’obbiettivo terapeutico non può essere eliminarlo ma far sviluppare le risorse personali che permettono la rielaborazione del lutto. Spesso al contrario avviene un etichettamento diagnostico che produce più danni che benefici, perché fa sentire la persona in difetto rispetto alle emozioni che prova.

Inoltre le difficoltà se affrontate e superate fortificano la persona e contribuiscono significativamente allo sviluppo della sua autostima: chi non si è mai dovuto confrontare con eventi avversi è come se non avesse le difese immunitarie contro di essi. Rimandare i problemi posticipa semplicemente il momento in cui per vari motivi sarà impossibile eluderli, e più il tempo passa più potremmo sentirci impreparati…

Come afferiva il celebre filosofo Friedrich Nietzsche: « Quello che non mi uccide, mi fortifica… »