La credenza di avere un disturbo incrementa il disturbo stesso: la terapia narrativa di White

Un motivo, spesso sottovalutato, per cui i problemi psicologici risultano difficili da risolvere e perdurano nel tempo, riguarda l’inquadramento che di questi realizza la persona che ne soffre.

Se il soggetto si identifica col suo disturbo, ricorrendo a pensieri e espressioni quali “io sono un depresso” oppure “io sono un borderline” si creerà una realtà che ostacolerà il cambiamento.

Un noto psicoterapeuta australiano, Micheal White, a questo riguardo ha esplorato un’interessante pratica psicoterapeutica che si fonda sull’ “esternalizzazione” del problema.

L’esternalizzazione consiste nel trattare, all’interno del dialogo psicoterapeutico, il problema come qualcosa di oggettivo “esterno” e “staccato” dalla persona.

Questo processo si realizza rimanendo ancorati sui dati concreti, ovvero il problema si definisce sulla base delle conseguenze negative che ha sulla vita della persona. Oltre a considerare tale aspetto, ovvero l’influenza che il problema ha sulla persona si considera anche la dinamica opposta, che consiste nell’influenza che la persona ha sul problema.

Il paziente dopo aver esposto tutte le limitazioni e le afflizioni generate dal suo disturbo, viene guidato dal terapeuta ad individuare quelle situazioni concrete in cui è riuscito a non farsi condizionare dal problema e a vincere su di esso.

Queste condizioni positive sono quasi sempre presenti ed è compito del terapeuta farle emergere all’interno del colloquio, spesso il paziente non le percepisce in quanto ha una prospettiva negativa e pessimista (“visione saturata dal problema”) che lo conduce a squalificare tali episodi positivi, e di conseguenza a perpetuare una vita ancora più condizionata dal disturbo.

Si genera così un circolo vizioso: la visione negativa incentrata sulla “forza” e la “pervasività” del disturbo impedisce al paziente di percepire le proprie risorse personali, e lo conduce alla resa, condizione che fa perdurare e aggravare la situazione problematica nel tempo.

Invece la costruzione all’interno del colloquio psicoterapeutico della possibilità che il paziente ha anche lui una forma di influenza sul problema, permette di contrastare la visione negativa sopra descritta, e di creare le condizioni necessarie per realizzare il cambiamento.

Ora il paziente viene posto davanti ad un dilemma: in alcune situazioni è completamente sopraffatto dal problema, in altre riesce invece a sottrarsi dall’influenza di questo, cosa ha intenzione di fare? E cosa potrebbe fare per sottrarsi sempre di più dal potere che il problema ha su di lui?

Si realizza in questo modo un cambiamento rispetto al modo in cui la persona percepisce il proprio disturbo, non è più qualcosa che “ha” che è in “lei”, ma è un fenomeno concreto rispetto al quale inizia a percepire una forma di controllo. La persona può avere una condotta che alimenta il potere del problema o una condotta che incrementa la sua libertà da esso.

Il processo terapeutico sostiene in seguito esperienze concrete di libertà dal problema, connotando le eventuali ricadute negative come uno strumento necessario per capire meglio cosa il soggetto può fare per dare potere al disturbo, e quindi eventualmente decidere se cedere o bloccare tali comportamenti.

La Terapia Narrativa elaborata da Michael White, che si fonda su tali procedure, ha l’obbiettivo di determinare una “riscrittura” della percezione che il paziente ha del suo problema.

Rispetto questo aspetto è interessante sottolineare come questo modello di terapia condivida le basi epistemologiche delle terapie brevi strategicamente orientate che si fondano sul costruttivismo, infatti anche queste ultime si incentrano sul modificare le prospettive individuali e non la realtà esterna.

Altri punti in comune della terapia narrativa di White con la terapia breve strategicamente orientata sono: il rifiuto di una nosografia patologica, l’importanza data al concetto di eccezione del problema, il promuovere esperienze concrete di liberazione dai sintomi, la connotazione positiva delle ricadute.